Intervista per Alganews
Intervista a Marco Milioni su Alganews del 9 febbraio 2018
Cecilia Carreri è il giudice vicentino che ben prima della deflagrazione dell’affaire BpVi cercò di fare chiarezza sull’istituto bancario berico pagando il prezzo salatissimo di una esclusione dalla magistratura. Che proprio Carreri (in foto a destra con Mario Monicelli, oggi scomparso) ritiene illegittima tanto da avere avviato un contenzioso per il reintegro. Frattanto è la stessa Carreri a spiegare, con una rivelazione che farà rumore, che il ricorso straordinario per il suo reintegro in magistratura «venne respinto nel 2011 dal Consiglio di Stato» con un parere firmato da Francesco Bellomo. Si tratta del magistrato oggi noto in tutto il Paese che è stato recentemente destituito per essere finito al centro del cosiddetto scandalo delle minigonne. «Ad ogni modo grazie ai media – spiega ancora Carreri – sto comunque seguendo ogni fase del caso banche e debbo dire che provo molto dolore per quanto accaduto a così tanti risparmiatori». Frattanto la battaglia legale tra le parti prosegue e dalla stampa si apprende che sono state ammesse, al momento, cinquemila parti civili.
Dottoressa Carreri che cosa pensa di questa primissima fase del processo?
«Va anzitutto precisato che non esiste ancora un processo contro Gianni Zonin e gli altri imputati. Siamo, infatti, ancora nella fase dell’udienza preliminare, in cui il giudice Roberto Venditti deve limitarsi a valutare se la richiesta di rinvio a giudizio della Procura sia fondata. In altre parole, la Procura ha depositato gli atti di indagine e ha chiesto il processo; il giudice Venditti deve solo valutare se tale richiesta è fondata e, in caso affermativo, gli atti verranno trasmessi al Tribunale penale per il processo. Ma Venditti può anche prosciogliere, cioè ritenere che la richiesta del processo sia infondata, anche solo per alcuni reati o alcuni imputati».
Che tempi si profilano all’orizzonte?
«Da parte loro, gli imputati potrebbero chiedere di celebrare il processo direttamente davanti al giudice Venditti, nella forma del giudizio abbreviato o del patteggiamento. Escludo quest’ultima ipotesi: gli imputati non hanno interesse a definire subito il processo, cercheranno di allungare i tempi per fruire della prescrizione. Come avrete notato, sono state impegnate già diverse udienze solo per questioni preliminari, ci vorranno diversi mesi prima di arrivare alla discussione degli avvocati che sono diverse centinaia. Per non parlare del tempo che occorrerà per giungere alla decisione finale del giudice dell’udienza preliminare».
E quindi? Che impressione s’è fatta?
«Mi sembra un film già visto. Voglio ricordare che quando fui io nel 2002 a chiedere il processo contro Gianni Zonin contro la Procura berica che voleva archiviare tutto, l’udienza preliminare fu fatta durare ben sette anni, con vari proscioglimenti a favore di Zonin, fino a quello conclusivo nel 2009. Non si è mai visto che un’udienza preliminare duri sette anni e il Consiglio superiore della magistratura non ha fatto nulla, non è mai intervenuto, mentre proprio in quegli anni, tra il 2005 e il 2008, io sono stata massacrata. Vi fu un vero e proprio editto bulgaro nei miei confronti».
Pochi giorni fa dai media abbiamo appreso dalla stampa della revocatoria chiesta dalla procura berica per il trasferimento dei propri beni che alcuni imputati eccellenti del processo avrebbero disposto durante i mesi passati. Tra questi ci sarebbero anche quelli appartenuti a Gianni Zonin. Che cosa pensa al riguardo?
«Le notizie che trapelano sono confuse; ho letto che delle revocatorie sono state chieste dalle parti offese e dai commissari liquidatori per conto della banca. I quotidiani hanno riferito che gli imputati e, addirittura altri protagonisti del crac, rimasti non imputati, hanno trasferito i loro beni a familiari o terzi, grazie a diversi atti notarili previsti dal codice civile».
In pratica si sono presentati dal notaio, come fa un semplice cittadino?
«Sì».
Ma allora può spiegare sul piano giuridico che cosa è una azione revocatoria?
«L’azione revocatoria, che mira a recuperare i beni usciti con frode dal patrimonio del debitore in danno del creditore, non è una procedura semplice. Le condizioni che rendono percorribile tale sentiero sono ardue da dimostrare. Tale procedura è subordinata a molteplici condizioni e presupposti che ne rendono difficile il buon esito. La revocatoria presuppone un atto illecito, e temo che sul punto si debba attendere l’esito del procedimento penale che verte proprio sulla condotta illegale degli imputati, destinatari delle revocatorie civili».
C’è qualche aspetto che la lascia perplessa?
«Francamente, mi lascia perplessa il fatto che le vittime di questo crac bancario si vedano oggi costrette a pagare queste costose azioni giudiziarie, quando doveva essere in primo luogo la Procura a provvedere in tal senso, con velocità e tempismo, prima che i beni sparissero. Non vi è stata neppure alcuna forma di carcerazione né arresti domiciliari. Questi avrebbero evitato inquinamenti probatori e continui spostamenti anche all’estero degli indagati. I quali sono stati lasciati liberi di fare ciò che volevano».
Che cosa le viene in mente alla luce della sua esperienza professionale?
«Ho fatto per quindici anni il giudice all’ufficio indagini preliminari e dalla Procura, per procedimenti anche meno importanti del crac della BpVi, ricevevo immediate richieste di sequestri, di carcerazioni, di importanti atti investigativi e cautelari che tutelavano le parti offese, proprio per impedire comportamenti fraudolenti degli indagati. Spesso si chiedeva di congelare cautelativamente beni e patrimoni. Ricordo importanti operazioni di polizia giudiziaria a carico di orafi, conciari, grandi imprenditori e società. Ho appreso che le vittime della banca hanno chiesto al giudice civile la dichiarazione dello stato d’insolvenza della banca medesima, istanza che poteva essere propugnata d’ufficio dalla Procura di Vicenza, come è avvenuto a Treviso per Veneto Banca. Anche di questo non comprendo la spiegazione».
Perché?
«Perché ne può scaturire un processo per bancarotta, i cui reati sono di una certa gravità e di prescrizione non breve. Ma le mie sono tutte riflessioni, non conosco gli atti. Vedremo in futuro i fatti».
Poche ore fa è stato eseguito un sequestro di 106 milioni di euro per ordine del Gip, su richiesta della Procura di Vicenza, qualcosa si muove?
«Ma, scusi, sono trascorsi circa tre anni dall’avvio delle indagini, e solo adesso viene eseguito un sequestro, peraltro preparato nel 2017, su denaro della Banca Popolare di Vicenza, giacente in un conto bancario. Un sequestro per un illecito amministrativo della Banca, non eseguito sui patrimoni del già amministratore Samuele Sorato e del già vicedirettore generale Samuele Giustini, accusati nel provvedimento del reato di ostacolo alla Vigilanza, un reato che è tutto da dimostrare, visto che è emersa la consapevolezza di Bankitalia e Consob di quanto avveniva nella Banca di Vicenza, dove venivano assunti loro ex funzionari. Restano intoccabili i patrimoni dei singoli responsabili».
Di recente sui quotidiani nazionali ha avuto molta eco la notizia dell’allontanamento dalla magistratura deciso da Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, organo di autogoverno dei magistrati Tar e Consiglio di Stato rispetto al magistrato Francesco Bellomo. Le è sembrata una decisione dovuta e soprattutto celere?
«Mi sembra che la vicenda del giudice Francesco Bellomo, da quanto ho appreso dalla stampa, sia di particolare gravità e discredito per la magistratura. Noto che la destituzione di Bellomo è stata decisa dall’organo di controllo dei giudici amministrativi, rango al quale apparteneva appunto Bellomo. Penso sia stata una decisione obbligata, anche a fronte del grande clamore del caso, nonché delle tante denunce di parti lese. Sarei stata curiosa di vedere che cosa avrebbe fatto il Consiglio superiore della magistratura, se la sanzione su Bellomo fosse stata di sua competenza. Tra l’altro, proprio Bellomo è il magistrato che nel 2011 in qualità di relatore scrisse e firmò un parere del Consiglio di Stato che rigettò il Ricorso Straordinario contro le mie dimissioni. E c’è un fatto sconcertante da considerare».
Quale?
«Quel parere conteneva un macroscopico errore. Il relatore Francesco Bellomo infatti scrisse che la sottoscritta non aveva tempestivamente depositato agli atti iniziali del ricorso straordinario ben due atti di revoca delle dimissioni, circostanza non vera. Capirà come io mi possa sentire oggi perché quelle due revoche invalidavano le mie dimissioni. Non potei fare appello, il ricorso era terminato. È da allora che mi rivolgo continuamente al Guardasigilli e al Csm perché provvedano a rimuovere questo clamoroso errore giudiziario che mi impedisce di riprendere la toga e lavorare; è ancora pendente una ennesima istanza».
Dottoressa lei dice che Bellomo era il relatore di quel collegio. Ma chi lo presiedeva?
«Alessandro Pajno».
Quell’Alessandro Pajno la cui nomina a capo del Consiglio di Stato nel 2015 fu decisa di getto dal governo Renzi bypassando l’abituale procedura tanto da scatenare un putiferio mediatico?
«Sì proprio lui. Non ho parole. Non aggiungo altro».
Lei da tempo chiede di essere reintegrata in magistratura. In diverse circostanze lei ha spiegato che dopo le richieste di rinvio a giudizio per Zonin, tra 2005 e il 2008, lei è stata «massacrata» e che nei suoi confronti ci fu un vero e proprio «editto bulgaro». Può spiegare nel dettaglio perché? Quali sono i punti salienti della sua vicenda? E in quest’ultima che cosa l’ha amareggiata di più?
«Guardi posso dire che sono stata oggetto di un’autentica persecuzione che, alla fine, mi ha indotto a dare le dimissioni, in preda alla solitudine e alla disperazione. Quelle dimissioni, tuttavia, furono formalmente nulle perché da me revocate più volte. Fu un periodo di sofferto travaglio, per cui oscillavo tra il desiderio di andarmene indignata per le iniziative illegittime che ero costretta a subire, e la volontà di reagire e non crollare di fronte a tanto accanimento».
E poi che è successo?
«È iniziato così un lungo calvario di ricorsi per impugnare quelle dimissioni e ogni volta sono stati respinti, non considerando gli atti di revoca. Per scendere nel dettaglio, le delibere del Csm del 23 luglio e 10 dicembre 2008, delibere di accettazione delle mie dimissioni, sono state rese inefficaci con ripetute revoche delle mie dimissioni il 28 luglio 2008, il 26 novembre ed il 22 dicembre 2008. Si tratta di revoche che sono intervenute prima del decreto finale del Ministro della Giustizia che peraltro mi è stato trasmesso soltanto con due fax del 30 gennaio 2009 e del 3 febbraio 2009».
Che cosa ne ricava?
«Mi pare evidente ciò che ho patito. E invece sono quasi dieci anni che chiedo inutilmente di riprendere il mio lavoro. Il tutto mente in Italia scontiamo una grave carenza di organico e continui concorsi per reclutare nuovi magistrati. Dal 2015, coloro che hanno patito il crac della Banca Popolare di Vicenza chiedono a gran voce il mio rientro in servizio. Lo stesso fanno da tempo associazioni e persino partiti politici. Penso abbiano ricordato la mia serietà, la mia efficienza, il fatto che fossi stimata e apprezzata per la mia autonomia e indipendenza, come quando a muso duro respinsi l’archiviazione per Gianni Zonin. Tanto che proprio nel 2017 ho chiesto per l’ennesima volta al Ministro della Giustizia e al Consiglio Superiore della Magistratura che dichiarino la nullità̀ delle mie dimissioni, con il mio conseguente rientro in servizio. Sono quasi sei mesi che sto aspettando una risposta».
E come trova questa attesa?
«Inquietante».
Carreri, in un regime democratico uno dei pilastri imprescindibili della costruzione civile è lo Stato diritto, ovvero quella condizione per cui chiunque è sottoposto alla legge. Le vicende di malaffare che da anni sferzano il Veneto hanno, secondo lei, almeno de facto, messo in discussione se non in crisi, questo assioma? Se sì, perché?
«La sensazione diffusa nell’opinione pubblica è che vi sia stato un trattamento benevolo nei confronti dei protagonisti del crac delle banche venete, che le indagini non siano state così incisive ed efficaci. In effetti, non c’è stato ancora un risarcimento delle vittime, nessuna condanna. Questa vicenda riguarda personaggi con potenti reti di protezione, come hanno denunciato tanti giornalisti d’inchiesta».
E a questo punto?
«In questi casi bisogna avere una magistratura molto decisa, coraggiosa, preparata professionalmente. Non è in crisi lo Stato di diritto, le leggi ci sono tutte, basta applicarle con fermezza, senza farsi intimidire. Se però la magistratura non riesce a dare una risposta efficace, crolla la fiducia nelle istituzioni. E questo è grave».
Sono vere le voci per cui lei starebbe scrivendo un nuovo libro? Su che argomento?
«Sto preparando la seconda edizione del libro “Non c’è spazio per quel giudice”, arricchita di oltre cento pagine sulla Banca Popolare di Vicenza. Vi sono i più recenti sviluppi del crac bancario, con notizie clamorose e inedite, compresa la vicenda della Commissione parlamentare d’inchiesta. Il libro sarà pubblicato non appena arriva la decisione da Roma in merito al mio rientro in servizio. Tale decisione sarà commentata nel libro e lo concluderà per sempre».
L’argomento è complesso, o no?
«Sì, ma la gente ha diritto di sapere, di capire come si dipanano vicende del genere».
Quella decisione secondo lei sarà un inizio o una fine?
«Vedremo».
E dunque?
«Al di là di tutto, l’annullamento delle mie dimissioni avrebbe un grande significato, penso che sia il momento di un gesto di pacificazione e riconciliazione da parte dello Stato nei miei confronti. Ho chiesto anche una revisione disciplinare, ho subito una sanzione mai vista solo perché avevo messo sotto sforzo la schiena con alcune benefiche attività sportive, svolte in periodo feriale. Da oltre dieci anni, la Suprema corte di cassazione, sezione lavoro, afferma costantemente che non si può infliggere alcuna censura al lavoratore che svolga delle attività sportive che non siano incompatibili con le sue patologie e che non ostacolino il suo rientro in servizio, come è avvenuto esattamente nel mio caso. Dunque, convivo dal 2007 con una condanna disciplinare che è smentita in modo radicale dal massimo giudice di legittimità: la Corte di cassazione. Lascio ad altri ogni commento».
Dottoressa lei si dice molto rammaricata. Però in questi mesi ha avuto anche molte attestazioni di stima. Vero?
«Sì senza dubbio. Infatti colgo ogni occasione possibile per ringraziare pubblicamente le tantissime persone che mi sono vicine in questo difficile periodo in cui sto ultimando le mie battaglie per avere giustizia. Ringrazio per le affettuose e accorate lettere, per i messaggi di forte incoraggiamento che ricevo. Ringrazio di tutto ciò, non solo la gente comune, ma anche le forze dell’ordine che ora mi sostengono, quasi a volermi proteggere. Ho sempre servito lo Stato con dedizione, sono pronta a indossare di nuovo la toga con la passione e il coraggio di sempre. Adesso lo farei non solo per me, per la mia dignità così profondamente ferita, ma anche per la gente che mi è accanto con tanta sensibilità e generosità. Ringrazio davvero tutti. Queste battaglie vanno condotte tutti assieme. Assieme ne condivideremo i risultati».